di GIANCARLO MARINELLI
Questa è La moscheta di Giancarlo Marinelli. Perché in scena c’è il Ruzante dei sentimenti forti che dominano i personaggi, ma l’intreccio è stato smontato e rimontato dalla fantasia registica di Marinelli. L’atmosfera è un contemporaneo stilizzato fuori dal tempo, narrato (per precisa scelta stilistica) in una lingua comprensibile, poiché, alle parti in “lingua pavana” (comunque addolcita nei suoi tratti più aspri) si alternano altre “lingue”, come l’italiano, il veneto contemporaneo, l’italiano e l’italiano segnato (il cosiddetto linguaggio dei sordomuti). Contemporanei ed universali sono i sentimenti che Ruzante mette in scena e contemporanei sono gli strumenti e i linguaggi dell’allestimento che, pur innovando e deformando la poetica ruzantiana, ne mantiene inalterata la forza ed il legame con l’istintività espressiva. Restano, inoltre, presenti tutti i cardini portanti dell’opera di Angelo Beolco, come la violenza nel rapporto fra uomo e donna, l’eterno contrasto fra città e campagna, il richiamo alla “snaturalité” e la profonda e arguta disamina sulla questione della lingua
Tutto gira intorno alla complessità del farsi intendere. Del resto è lo stesso Beolco a indicare la strada sin dal titolo della sua commedia, intendendo per “moscheta”, il parlar forbito da contrapporre al dialetto ruspante del contadino. La lingua, intesa come insieme di codici per comunicare, raddoppia in Marinelli la sua funzione e diventa elemento fisico dal quale parte e al quale arriva la rappresentazione.
L’inurbato Ruzante si dibatte tra il desiderio di una vita semplice a fianco dell’amata Betìa e la voglia di arricchirsi in fretta senza fare fatica. Uscirà da questo quotidiano e banale sopravvivere, quando, spinto da Menato, abbandonerà la sua lingua naturale per esprimersi, durante un maldestro camuffamento in lingua moscheta. Lo stesso Menato mira al raggiungimento dei suoi scopi più meschini e fa della dialettica la sua arma più efficace. Betìa, privata (metaforicamente) della favella e di un fondamentale strumento di attrazione sessuale, entra in crisi e non riesce più a far comprendere ai numerosi pretendenti quali siano le sue reali aspirazioni e necessità. Tra i due pretendenti si inserisce un soldato, anche lui attratto dalle grazie di Betìa. Marinelli raddoppia l’effetto straniante affidando il ruolo del terzo incomodo ad un attore di colore che si esprime prima nella sua lingua madre africana, poi nell’italiano di città e infine anche lui in dialetto. Per il povero Ruzante, che si sarebbe accontentato di trovarsi in capo un paio di semplici corna, questa babele di linguaggi diventa insopportabilmente estranea e lo conduce sull’orlo della follia.
“Arricchita di spunti e intuizioni intriganti la messa in scena di Marinelli raggiunge il duplice scopo di divertire e far riflettere.”
(Lino Zonin da Il giornale di Vicenza)
Merito anche dell’egregio lavoro degli attori: b>Aristide Genovese conferma la sua particolare vicinanza con i personaggi e la lingua di Ruzante e offre del povero marito più volte tradito un ritratto quanto mai efficace per simpatia e naturalezza. Carla Stella è una Betìa forte ma “straniata”, Fabrizio Vona è un Menato che passa dalla sofferta passione iniziale per Betìa all’astuzia più fredda per averla in suo potere, Mefehnja Tatcheu interpreta un soldato africano, Eleonora Tiberia una misteriosa vicina.
La scenografia è stata realizzata dall’artista Fernando Garbellotto.
La messa in scena nasce dalla collaborazione tra l’Accademia del teatro in lingua veneta, diretta da Luisa Baldi, e Theama Teatro di Vicenza con il sostegno della Regione del Veneto.
Dalle note di regia di Giancarlo Marinelli
La Moscheta è una storia di amore tradito, di amicizia tradita.
È una storia di possessione e di vendetta.
Betia è sposata con Ruzante, che è amico di Menato. Ma Menato è anche l’amante di Betia. Come se non bastasse, irrompe un soldato che si aggiunge e frantuma, ad un tempo, il triangolo.
Siamo a Padova; una città sospesa nel tempo e nella carne, immersa in un groviglio di legno e nebbia, vagamente portuali.
La protagonista è la lingua. La lingua intesa come linguaggio, ma anche e soprattutto come parte del corpo. Ché in Ruzante la lingua è il corpo. È la vita.
La vita che si rinchiude in se stessa, che non parla, che si ostina a non voler comunicare.
E poco importa che i personaggi si esprimano in italiano, in pavano antico, in pavano moderno, in africano, in inglese, in francese, o addirittura con la magia dei segni dei sordomuti.
Ciò che conta è il miracolo, radicalmente antico, disperatamente moderno, del loro tramutarsi.
Giancarlo Marinelli è autore di drammaturgia contemporanea, attore e sceneggiatore, editorialista, regista teatrale, televisivo e cinematografico e docente di Istituzioni di Regia Teatrale presso l’Accademia delle Arti di Roma.
Tra le sue regie teatrali Faurè notte 13, Croce del mio cuore con Pierluca Donin e Debora Caprioglio, La sposa persiana di Goldoni per la Biennale Teatro e nell’ultima stagione L’innocente di D’Annunzio con Ivana Monti.
Ha pubblicato Amori in Stazione (1995), Pigalle (1998), Dopo l’amore (2002)., Ti lascio il meglio di me (2006), vincitore del Premio Campiello. Nel 2008 è uscito Non vi amerò per sempre.
Fernando Garbellotto ha avuto numerose personali delle sue opere. Quest’anno, dopo una mostra a Vittorio Veneto, ha presentato alla Biennale e poi al Festival del Cinema di Venezia il video di una performance – a suo modo un dramma greco - che ha visto gli interpreti in un bosco attorniati dalle sue reti frattali.
La Moscheta (estratto 1/5)
La Moscheta (estratto 2/5)
La Moscheta (estratto 3/5)
La Moscheta (estratto 4/5)
La Moscheta (estratto 5/5)
Per ulteriori informazioni :
Theama Teatro 0444-322525 348-0833213
Accademia del teatro in lingua veneta 348-4238334